Pubblicato da: patriziaugolini | 28 settembre 2023

La chiave della risposta immunitaria sta…nella risposta

L’immunologia studia la risposta biologica di un organismo.

La risposta, già. Perché tutto si traduce in “relazione”, anche in immunologia.

Il sistema immunitario non è “il sistema di difesa” che tutti siamo abituati a pensare, bensì un sistema di interazione con l’ambiente che passa attraverso l’incontro, il discernimento, il riconoscimento, la reazione, e la memoria.

Il sistema immunitario partecipa alla nostra identità, fin da quando nasciamo, attraverso l’incontro con gli elementi dell’ambiente. Il bambino alla nascita ha solo il corredo immunologico materno, per la sua risposta. Tutto passa attraverso di lei, anche questo. E quando comincia, verso il primo anno di età, a formare anticorpi suoi propri, e un sistema immunologico indipendente dalla madre, può definirsi “individuo”, separato dalla madre, come anche la sua psiche, che comincia a percepirla piano piano “altra da sé”.

Pertanto il sistema immunitario è la rappresentazione, in chiave biologica, di ogni cosa che esiste ad altri livelli. Dove tutto è relazione.

Non lotta, non attacco o difesa, sopraffazione e dualità, ma interazione e risposta. Dalla risposta, scaturisce un equilibrio o uno squilibrio (sofferenza, malattia). La risposta può essere breve, lieve oppure intensa, poi incamerata nel sistema (immunitario, inconscio), e pur esaurendosi in poco tempo, rimane latente, per riaffacciarsi in occasione di nuovi incontri, o incontri “simili”, che comunque ricordano il primo.

Dai quali scaturisce una nuova risposta, breve o persistente, a volte evolutiva fino a squilibrare pesantemente un organismo, come avviene quando una sofferenza del passato (risposta a un evento) che era stata rimossa, si riacutizza, si riattiva, in altre occasioni anche drammaticamente, in modo disfunzionale.

Abbiamo detto altre volte, in precedenti articoli sull’immunità (“Un problema ossessivo del sistema immunitario”, “Il periodo di latenza, il mimetismo molecolare, l’immunità eterologa e il terreno”), che l’incontro con un antigene di qualsiasi natura prevede una prima fase di risposta aspecifica, l’immunità innata, con sintomi simili per tutti (che chiamiamo “influenza”, e in effetti un’”influenza” c’è), per poi passare a una seconda fase di risposta più specifica, “d’organo”, l’immunità acquisita o adattativa, (gastrite, epatite, bronchite ecc.) circoscritta alla risposta a quell’antigene preciso, per poi formare la memoria di tale interazione.

Ogni interazione porta alla possibilità di memorizzarla, senza memoria non c’è storia.

Qualsiasi cosa contattiamo nell’ambiente (germi, elementi nell’aria, nel cibo, eventi e situazioni), genera sempre una risposta. Talvolta, come dicevamo, breve e di basso tono, neanche ce ne accorgiamo. A volte intensa, e diventa una vera “sofferenza”: fisica, e psichica. Ma è sempre la risposta che la genera. Senza una risposta, non c’è alcuna conseguenza. Nessuna sofferenza, o malattia. Come se l’evento, l’elemento dell’ambiente, non esistesse.

Ad esempio, se il sistema immunitario non riconosce un antigene, non lo vede proprio, non ha il recettore e tutto l’apparato per “interagire” con lui, per cui non gli risponde, non c’è malattia. Il sistema immunitario non è “basso” o “alto”, perché è un sistema binario. O risponde, o non risponde.

Come dicevamo, una risposta può riattivarsi anche in situazioni “simili” alla situazione (o antigene) originario. Se si è subito un trauma da una persona, anche le persone che per un soggetto sono “simili” ad essa, genereranno la stessa risposta. Così è per i germi: un germe “simile” in alcuni costituenti proteici ad un altro, genera la stessa risposta che si ebbe col primo germe, ed è l’immunità eterologa. Inoltre, come l’organismo tutto, anche il sistema immunitario cerca continuamente di equilibrare le sue risposte affinché non siano troppo aggressive (e cioè auto-aggressive). Il problema sorge quando il sistema di controllo diventa esagerato, ed in uno stato permanente di allarme (immunologicamente, psichicamente). L’ossessività è comune, sia a livello psichico, che immunitario. E tale stato di allarme diventa distress, come si “stressa” il sistema immunitario con continue piccole risposte (“i malanni” ripetuti, per produzione di molecole infiammatorie, e scarsa capacità di quelle molecole che hanno invece come obiettivo di spegnere l’infiammazione).

Ma perché la risposta non si placa? O per deficit della capacità dell’organismo di mantenere un equilibrio interno (omeostasi) per vari motivi, o perché l’evento esterno non scompare mai e persiste all’esterno (come una continua violenza domestica, ad esempio, o un avvelenamento ambientale, ecc.) o all’interno (rimuginio, pensiero che ritorna, come il linfocita che si ri-allarma, riattiva), diventando come un incendio che non si spegne mai. Un’ansia continua, e spesso anche se all’esterno l’antigene o la situazione non è più presente “fuori”.

Ma in definitiva, il massimo del lavoro lo facciamo “dentro” il corpo, nella psiche o nel sistema immunitario che sia. Abbiamo bisogno di attivare le “molecole di fine infiammazione” (di cui il sistema immunitario è ricco), o pensieri di fine sofferenza. Possibile?

Talvolta grazie ad aiuti esterni (farmaci, psicoterapia, ecc.) o interni (lavoro su di sé, decisioni e scelte giuste per la propria vita, cambiamenti di stile di vita, ecc.). Tuttavia, anche per gli aiuti esterni serve sempre una collaborazione “interna” atta a ripristinare un equilibrio duraturo. Un farmaco, una psicoterapia, non possono durare in eterno (salvo in casi eccezionali), e devono avere l’obiettivo di attivare e aumentare la capacità del corpo/psiche di aiutarsi a guarire, per tornare al bene-essere. Non basta curare, bisogna guarire.

Purtroppo invece spesso si pensa di servirsi solo di un aiuto esterno, e le proprie capacità di ripresa rimangono inutilizzate. Il nostro vero mondo è tutto interiore, e neanche il più perfetto farmaco o protocollo o macchina super tecnologica possono conoscere l’esperienza vissuta dalla persona in tutto il suo essere, e cosa gli serve davvero per uscire dal problema. E questa sua personalissima esperienza non è clonabile.

L’uomo non è un algoritmo, anche se qualcuno vuol farcelo credere.

I nostri traumi, le nostre esperienze, frutto di relazioni, fanno parte di ciò che dobbiamo capire di noi. Anche il sistema immunitario impara, ogni volta. E deve trovare (in genere da solo, talvolta con aiuti) l’equilibrio tra lo stato di infiammazione (esagerata reazione emotiva, o mentale) e lo spegnimento di essa, calibrandola alle esigenze dell’organismo.

E poiché nulla è dato una volta per tutte, essendo tutto in divenire, possiamo trasformare ogni esperienza in un’occasione, e nello scambio che si ha nella relazione, cambiare. Ogni successivo momento si è come nuovi, anche se, anzi soprattutto grazie a, siamo impregnati del ricordo dell’incontro. Siamo noi, con la nostra risposta, ad essere cambiati, per cui il cambiamento dipende da noi, che abbiamo il potere di scegliere la direzione giusta da prendere, dopo aver risposto. Andando verso un nuovo equilibrio, o verso uno squilibrio peggiore.

In questo, l’osservazione della situazione (esterna e interna) per una giusta risposta, è fondamentale. E fa la differenza tra il superamento del primo impatto, con l’aumento della competenza personale, o una pena, una sofferenza, una malattia, che non finisce mai.

A livello più concreto l’ultimo caso, la malattia che non si spegne, è solo un peso. A livello più spirituale è il persistere di una sfida che chiede di essere trasformata in qualcosa di molto utile al servizio della persona. Ed è incredibile, ma anche il sistema immunitario la pensa così, dato che ogni incontro, con la risposta che ne consegue, amplifica le capacità di rispondere, in modo migliore di prima, se l’organismo tutto, soprattutto la psiche (sempre correlata a ogni altro sistema del corpo) riesce a mantenersi o a recuperare uno stato di equilibrio, di apertura e flessibilità  mentale senza pregiudizi, di compassione verso sé e gli altri, di consapevolezza dei propri stati emotivi e delle proprie esigenze, e nella capacità di vedere le cose da molti punti di vista, per poter affrontare le sfide mantenendo saldo lo scopo della propria vita.


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