Pubblicato da: patriziaugolini | 14 aprile 2022

Terrore del vuoto. Implicazioni in medicina

Scrissi anni fa un articolo sull’”Horror vacui e la società malata”, e vorrei riprendere il discorso, perché è ancora incredibilmente attuale. Ma lo scrivo oggi con qualche modifica e riflessione nuova.

Il terrore del vuoto, definito in psicologia “cenofobia”, è una paura ancestrale nell’essere umano, associato a solitudine, a pericolo, all’annichilimento, al nulla…

Aristotele fu il primo forse a focalizzare l’attenzione sul fatto che, a suo parere, la natura rifugga dal vuoto, e tenda a riempirlo costantemente, come fanno per esempio i liquidi, i gas.

La sua teoria si opponeva a quelle dei pitagorici e degli atomisti: quest’ultimi dicevano, al contrario, che il vuoto non solo esisteva e persisteva, ma era necessario, ad esempio, a permettere agli atomi di muoversi.

E a dire il vero, non avevano torto. Come può qualcosa che viene riempito sempre, costantemente, a permettere il movimento, il respiro delle parti in esso contenute?

Come si riuscirebbe, stando accalcati nella folla di una piazza, ad andarsene via da qualche parte, se si volesse? O a parlare e respirare riempendo completamente la bocca di cibo (o di altro)? O a pensare a qualcosa di diverso, quando la mente è riempita dai mille e ripetitivi pensieri quotidiani?

Ma è anche vero che ove ci sia del vuoto, la natura tende a riempirlo con qualcosa, come diceva Aristotele.

Rimane tuttavia che per noi esseri umani la parola vuoto rimanda al nulla, a qualcosa che manca o non c’è più, e in effetti tendiamo a reagire con atti tesi a riempirlo, in qualche modo, pur se inconsapevolmente, in qualsiasi modo possibile.

Rifuggiamo dunque dal vuoto, come farebbe la natura?

La questione è malposta. In realtà, il vuoto non esiste.

Infatti, dicono che l’Universo sia quasi ovunque vuoto, e la materia è un’eccezione. E che dal vuoto si sia generato l’Universo intero, materializzato dal nulla, in seguito a una gigantesca fluttuazione quantistica del vuoto.

Ma in realtà, per la meccanica quantistica, la fisica moderna, il vuoto non esiste, perché pervaso da continue fluttuazioni di energia, da cui si genera la materia. E tra l’altro queste fluttuazioni non si sa per certo se abbiano avuto “un inizio”, perché il concetto di inizio e fine, per come noi li concepiamo, non esistono se non in una realtà tridimensionale governata dallo spazio-tempo, quale quella in cui viviamo ora.

Un aiuto in più ci viene da Einstein, che ci dice che il vuoto non è mai davvero vuoto, è sempre un pieno di energia che si trasforma in materia e viceversa.

Dunque, come in quasi tutte le concezioni, che in epoche successive si rivelano errate, anche qui siamo vittime di un’illusione.

Il vuoto, che noi e la natura cerchiamo di riempire costantemente, in realtà è sempre pervaso da energia, che è ovunque. Noi stessi siamo una materializzazione di quanti di energia, che non nuotano mai neanche loro nel vuoto assoluto.

Di conseguenza, sia noi che la natura, che ci muoviamo su un piano materiale, in cui l’energia si è condensata nel momento che abbiamo messo piede sulla terra (da possibilità energetica che eravamo prima di diventare realtà materiale), tendiamo a riempire tutti i “vuoti”. Il che è un fatto, ma è anche un peccato, perché il livello energetico, che esiste prima della realizzazione materiale di una qualsiasi cosa, è possibilità infinita, per cui ci converrebbe lasciarlo più spesso, almeno in parte, così come è, al fine di creare nuove cose. Altrimenti è tutto già lì, null’altro da aggiungere. Perché è evidente che non siamo solo materia…i pensieri, la creatività, l’intuizione, sono infatti forme di energia, e non di materia, e ci hanno portato ad evolvere, nei millenni.

Dunque, viviamo sui due piani.

Uno è il piano materiale, noi e la natura compresi. A questo livello, il vuoto tende sempre a essere riempito. Anche a livello microscopico. Se siamo colpiti da una malattia, ad esempio, e mettiamo in atto strategie drastiche per debellare a livello individuale o collettivo il germe che l’ha causata, potremo essere certi, vista l’esperienza della storia della medicina, che prima o poi un altro germe prenderà il suo posto. Hai voglia ad attuare misure drastiche, prima o poi un altro germe tornerà ad occupare il vuoto creatosi.

Da cui, occorrerebbe pensare a nuove strategie, al fine di prevenire la nuova ondata di germi, riempendo il vuoto creato dalla misura drastica con qualcosa che “competa” col germe….ad esempio agendo sul sistema immunitario, sulla persona nella sua totalità, o come altro si vuole…per rendere il vuoto un po’ più “pieno” a livello energetico, e restio a farsi riempire da eventi esterni non benevoli. Come con i pensieri: se riempiamo la mente di ottimi pensieri, quelli nocivi non hanno più spazio. O, se permettiamo ad altri di riempire la nostra personale mente con i loro pensieri, credenze e opinioni, non avremo più posto per pensieri nostri, magari migliori di quelli. E la nostra mente sarebbe nostra, non di altri.

In verità ci converrebbe farlo, anche per avere poi emozioni diverse da ciò che gli altri ci suggeriscono, dato che le emozioni sono in genere la risposta del corpo ai pensieri (che poi a loro volta generano emozioni, in un circolo vizioso che può non finire mai…).

Mettere in campo solo strategie per l’evento esterno di turno, sarebbe come mettere una toppa su uno dei buchi creatisi in una barca, invece che riparare la barca, in modo che l’acqua non entri più….pensate che sensazioni ed emozioni diverse otterrebbero.

Sarebbe bello avere come obiettivo il non permettere ai germi di agire a turno e tentare di sopraffare la nostra immunità naturale, fortificando la potenza fisica mentale e spirituale dell’organismo.

Anche Ippocrate un giorno disse: “per il malato, il meno è meglio”. E intendeva che prima di ogni intervento terapeutico, bisognerebbe spendere qualche parola su cosa fare per ammalarsi il meno possibile, o per affrontare un male-essere con il buon senso, al fine di dare alle persone l’autonomia di pensarsi sane e in piena energia fino a prova contraria, e non malate o fragili a-priori.

Ogni società definisce la proprie malattie (fisiche, mentali, individuali o collettive) e si crea un proprio atteggiamento di fronte al problema.

Però è ben diverso considerare una società prevalentemente malata, o prevalentemente sana. In altre parole, si dovrebbe insegnare fin da piccoli che si può fare molto per mantenere il diritto naturale a essere sani, agendo nei migliori modi (sempre sulla barca e non sui vari buchi) al fine di ritenersi capaci di percepirsi sani, fino a prova contraria, e non malati fino a prova contraria.

Come sempre è questione di prospettiva. Se ci consideriamo malati fino a prova contraria, è ovvio che la strategia e tutta l’attenzione è volta più al trattamento esterno, la toppa sul buco della barca, che al mantenimento ottimale della barca.

Con ripercussioni drammatiche a livello emotivo. Emozioni prevalenti come paura, panico, allarme, sensazione di vulnerabilità e precarietà della vita, al posto di gioia, capacità creativa e fiducia nel futuro.

In quale di queste prospettive vogliamo vivere?

Dipende forse da quanto ci sentiamo, erratamente, vuoti. Pronti a essere riempiti da chiunque. E fino a che lo permettiamo, quel “chiunque” di certo riempirà il nostro vuoto, a suo piacimento…

Peccato che ancora la scienza non abbia dimostrato che siamo già pieni di ogni bene, è come, anzi è, l’energia già presente ovunque dimostrata dalla fisica…e possiamo non solo mantenerlo, questo “bene” ma anche svilupparlo, se solo volessimo. Così, invece di pensare solo ai germi e alle misure, come alla toppa per il buco, pensiamo a mantenere e migliorare al meglio la barca, cioè l’essenza fisica-emotiva-mentale-spirituale-energetica di cui siamo fatti e dotati.

E seppur ognuno di noi possa ritenersi una insignificante briciola di pane al cospetto dell’Universo, sempre in procinto di venir spazzata via dal primo vento forte, in realtà siamo tutti più collegati di quanto pensiamo, e parte di questa rete energetica primordiale che pervade il vuoto illusorio.

Ogni nostro atto e pensiero si ripercuote intorno a noi e lontano da noi, producendo alla fine un’enorme forma di pane che può essere avariato e disgustoso, oppure fragrante, fresco e gustoso. E con cui nutriremo i posteri.

Dipende solo da noi.


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