Pubblicato da: patriziaugolini | 15 luglio 2018

Siamo quello che pensiamo? La riscrittura dell’”Io sono”

Siamo quello che pensiamo, o a prescindere?

Ardua la risposta. Se facessimo per un attimo il vuoto dentro di noi, interrompendo ogni pensiero, immagine e dialogo interno, rimanendo come sollevati, lontani dalle cose di tutti i giorni, dalle emozioni, dalle abitudini, e intorno a noi immaginassimo il nulla, fuori dalla casa, dal pianeta stesso, sospesi in questo vuoto…saremmo ancora noi?

O smetteremmo di esistere?

No. La sensazione di esserci rimarrebbe.

E con quale parte ci saremmo ancora?

La parte messa in sospeso è la ragione, la razionalità, i ragionamenti sul nostro essere.

Quello che rimane è l’inconscio, o l’anima, se volete.

Se durante quel vuoto quasi assoluto qualcuno ci chiedesse come facciamo a sapere di esistere ancora, e chi siamo noi, cominceremmo con un: “Io sono…”. All’inizio potremmo dire Io sono donna, uomo, giornalista, medico, psicologo, insegnante, studente, poeta, operaio, madre, padre, figlio, poi forse cominceremmo con i giudizi “sono una persona per bene, sono rigido, sono bravo, sono un po’ incapace…” e dopo tutto questo, alle continue domande di quel qualcuno “ma sotto a questo, chi sei? Alla fine di tutte queste domande (ci ho provato, a farlo) quasi tutti rispondono: io sono… “pace”.

Dunque, su quest’ultima parte, durante la nostra vita, ci scriviamo sopra com’è che vogliamo essere e vivere.

Essa dipende pertanto da noi, più o meno condizionati a tale “scrittura” circa noi stessi.

E come facciamo a sapere di essere ancora noi, in tutte e due le parti?

Se potessimo definirle, diremmo che la parte che abbiamo messo in sospeso sono i pensieri e i giudizi.

La parte che rimane è fatta di sensazioni.

Quando si “va in meditazione” e tale esercizio viene consigliato per “calmare la mente”, ci rendiamo conto, il più delle volte, che si avverte questo stato di pace, e comunque sentiamo di esistere lo stesso.

Ma la “scrittura” che ci facciamo sopra, a questo stato di calma, viene riempita durante la vita di ragionamenti sulle cose che ci accadono.

Siamo noi a decidere quale rappresentazioni farci, come e cosa ci rappresenta. E pensiamo poi di “essere quella cosa lì”. E ci aggrappiamo ad essa perché determina come e chi siamo nel nostro mondo.

La domanda è: se la scrittura è nostra, possiamo cambiarla nel meglio che possiamo? Siamo succubi o padroni, formiche o cicale, luce o tenebre, deboli o forti, meritevoli o meno…o molto oltre?

Quello che decidiamo darà la sensazione finale: tanto più lontano da quella calma di base, in conflitto tra l’inconscio che anela alla pace e il conscio che vive gli eventi della vita e vi si aggiusta con fatica, tanto più la sensazione finale è di malessere, che partendo dalla base più profonda investe tutto, mente e fisico.

L’inconscio sa (di avere un’identità). Il conscio, seppur fondamentale, decide com’è, essa.

Ma se riuscissimo a far sì che il conscio fosse il più vicino possibile, in armonia, con quello stato di base, di padronanza di sé, di calma, la sensazione finale sarebbe di benessere.

In America alcuni ricercatori hanno cercato di capire cos’è che previene l’invecchiamento delle cellule: antiossidanti? Diete leggere? Stili di vita sani? Tutto va bene, ma il fattore rivelatosi il più convincente è la consapevolezza di poter scegliere “il film” su di noi, e la reazione alle cose che ci accadono. Con la scelta di un pensiero il più possibile positivo nell’affrontare le cose, e con il giudizio su di noi il più possibile imperniato alle nostre risorse per superare gli eventi avversi.

Porsi le migliori aspettative, invece che le peggiori. Sentirsi forti, invece che vulnerabili. Nel senso di sentirsi capaci di superare i momenti di vulnerabilità.

Sentirsi in definitiva potenti, e non impotenti.

Padroni di gestire le circostanze, e non alla mercé di esse.

Crearsi nuove abitudini mentali al posto delle vecchie, spesso farraginose e bloccanti.

Alla nascita siamo quasi solo “l’altra parte”, quella inconscia. Poi diventiamo oggetti sociali e scriviamo su di noi in un contesto sociale. Tale scrittura dunque è un lavoro di gruppo, e ciò va bene perché viviamo in una società. Ma spesso essa non rispecchia tutto il nostro essere. Lo capiamo dalle sensazioni che predominano. Se predominano quelle positive, la scrittura si avvicina alla nostra più profonda identità, non la calpesta, anzi la arricchisce, nelle relazioni e nelle azioni.

Se predominano le sensazioni negative, la scrittura è molto lontana dalla nostra essenza più profonda.

La negatività che spesso percepiamo dentro di noi, non vive “in noi”, ma in superficie. Possiamo scrollarcela di dosso.

Noi possiamo cambiare tale scrittura quando vogliamo. Riscriverla da capo, se vogliamo.

Tale libertà di scelta, e solo quella, aiuta le nostre cellule a non invecchiare, o a non ammalare. Ciò non vuol dire non morire più di vecchiaia, vuol dire vivere con cellule (e pensieri) vitali e giovani.

E ora che si avvicinano le vacanze, cominciamo ad esercitarci. Un po’ di tempo per fare questo per noi, forse ce lo siamo meritato.

Buona estate a tutti.


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